Lo Streben, per Fichte, è la tensione infinita dell’Io verso il superamento del Non-Io, il quale viene posto dall’Io stesso. Questa dinamica, radicata nella natura pratica dell’Io, rappresenta il movimento continuo verso la libertà e l’ideale, che però non può mai essere pienamente raggiunto.
Fichte lo streben nella dialettica pre-hegeliana.
Lo Streben, ovvero la tensione continua dell’Io verso il Non-Io, rappresenta l’essenza stessa dell’Io. È un concetto chiave per comprendere il pensiero fichtiano. Tuttavia, per capire davvero cosa sia lo Streben, bisogna partire da Kant e dalla Critica della ragion pratica. L’Io di cui parliamo è infatti un Io pratico, un Io che agisce, fa, opera concretamente. Solo così l’espressione “pone se stesso” acquista senso: pone perché agisce, e il suo agire è qualcosa di innato, istintivo, connaturato alla sua stessa essenza.
In questo testo trovi un riassunto del pensiero di Fichte =>
Se non hai una conoscenza di base dell’autore, ti consiglio di leggerne un’introduzione prima di proseguire.
Dall’Io-devo all’Io assoluto: la ragione è pratica
Ricordiamo brevemente che, per Kant, la volontà deve essere puramente pratica. A differenza dell’ambito teoretico, dove l’Io subisce la realtà esterna, l’Io pratico determina da sé il proprio imperativo categorico, il famoso “tu devi”. Qui risiede l’essenza della libertà: la capacità di stabilire autonomamente i propri principi morali.
Per Kant, poiché la libertà deve essere possibile (in quanto postulata dall’Io come volontà pura e non come desiderio), devono essere possibili anche le tre ipostasi della ragione:
- L’immortalità dell’anima,
- L’esistenza di Dio,
- L’esistenza di un mondo esterno.
Questi tre principi non sono dimostrabili ma sono sperimentati, vissuti come ideali regolativi. Bisogna agire come se l’anima fosse immortale, Dio esistesse e ci fosse una realtà oggettiva al di fuori di noi.
Finito e infinito: il concetto di limite
Immagina che ti dicano che l’universo è finito. A cosa penseresti? Forse a un muro, una linea o un confine che lo delimita. Ma se esiste un confine, non puoi fare a meno di immaginare anche un “oltre”. Qualcosa al di là, di cui non sai nulla, ma che c’è.
Ecco, per i filosofi romantici il rapporto tra finito e infinito funziona così. Quando poni un limite, sei costretto a pensare a qualcosa che lo superi. Tuttavia, per mantenere il limite come tale, si può soltanto tendere verso di esso senza mai raggiungerlo. È lo stesso principio della freccia di Zenone o degli infiniti poligoni inscritti in un cerchio: puoi avvicinarti sempre di più, ma non lo raggiungerai mai completamente.
Per Fichte, questa tensione infinita è la condizione dell’azione umana. Solo tendendo all’ideale regolativo, senza raggiungerlo mai, possiamo distinguere un’azione migliore da un’altra.
Lo Streben come essenza dell’Io
Questo tendere verso l’ideale è lo Streben. In tedesco significa “tendere” o “sforzarsi”. Era già presente in Kant, dove la ragion pratica tendeva verso le ipostasi della ragione (Dio, anima, mondo).
Ma per Fichte è l’Io pratico, concreto, a sperimentare questa tensione. L’Io deve agire come se l’anima fosse immortale, Dio esistesse e la libertà fosse possibile. Questo come se è la struttura portante dello Streben: un ideale irraggiungibile, ma essenziale.
Dalle ipostasi della ragione al Non-Io
Abbiamo insistito sulla ragion pratica di Kant perché, sebbene Fichte concepisca un rapporto diverso tra Io e Non-Io, la struttura dello Streben resta la stessa. Per Fichte, l’Io ha una necessità pratica di eliminare la differenza tra sé e il Non-Io per affermare la propria libertà assoluta.
Tuttavia, l’Io fichtiano è un Io assoluto, che genera da sé l’opposizione. Nell’atto stesso in cui l’Io afferma la propria identità (Io=Io), pone anche il suo contrario: il Non-Io. Perché? Perché ogni affermazione implica una negazione: “omnia determinatio est negatio”.
Il gioco degli opposti: porre e contrapporre
Facciamo un esempio. Se ti dico “buono”, sai immediatamente qual è il suo opposto: “cattivo”. È una proprietà del pensiero legare i concetti al loro contrario. Anche inventando una parola nuova, come “frandicite”, potresti immaginare il suo opposto: “non-frandicite”.
Lo stesso avviene per l’Io assoluto. Nel momento in cui l’Io pone se stesso, pone anche il Non-Io, qualcosa di totalmente altro, di cui non sa nulla. L’Io è quindi un atto puro che afferma e contrappone.
La tragedia dell’Io
E qui arriva il problema. L’Io, ponendo il Non-Io, crea una differenza che è costretto a superare per realizzare la propria libertà. Ma questa differenza non può mai essere del tutto eliminata. È come il poligono che non diventerà mai un cerchio, per quanti lati abbia.
L’Io tende verso il Non-Io come un amante verso l’oggetto del proprio desiderio, in una tensione infinita e irrisolvibile. Questa è la tragedia dell’Io: non può fare a meno di creare il Non-Io e non può fare a meno di cercare di superarlo, senza mai riuscirci.
In questa tensione infinita, però, si gioca tutta la libertà umana. Lo Streben non è solo un limite, ma anche la condizione stessa dell’azione. Fichte trasforma così la tensione tra Io e Non-Io in un motore inesauribile, che spinge l’Io verso l’infinito.
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