“Addio”: una parola strana, complessa, pesante come “libertà” e “per sempre”
L’addio è una di quelle parole che portano con sé un peso emotivo enorme. È una parola che segna la fine, ma anche l’inizio di qualcosa di nuovo. Credo che sia proprio la dimensione del tempo, con la sua durata e il suo inevitabile finire, a dare dignità all’essere umano. L’addio non è una condanna, ma una salvezza.
A volte sembra che non succeda nulla, ma è solo che le cose si stanno preparando per accadere.
L’uomo non è fatto per vivere in eterno. Qualsiasi gesto, anche il più bello, se ripetuto all’infinito, diventerebbe una tortura. Non è l’estasi il sentimento che accompagna l’infinito, ma la noia.
Oggi, però, non voglio parlare della morte come chiusura totale e assoluta, ma dell’addio come fine di un periodo che preannuncia l’inizio di una nuova fase. Parliamo della conclusione di una relazione importante, della fine di studi impegnativi, della morte di un familiare significativo, ma anche di passaggi più semplici, come il saluto all’infanzia o l’ingresso nella pubertà.
Quante volte nella vita abbiamo avuto la sensazione precisa che un determinato evento segnasse una cesura netta con il passato? Quel momento in cui capisci che, da lì in poi, nulla sarà più come prima.
Pensate alla lite con il vostro partner: quante ne avete fatte? Eppure, ce n’è una che, ancora prima di concludersi, vi dice che è finita. Pensate all’ultimo esame all’università, alla prima masturbazione, alle vacanze estive, a una canzone, al primo colloquio di lavoro, al primo esame ginecologico, al primo colpo di fulmine. Sono tutti momenti che segnano un passaggio, un addio a ciò che eravamo per abbracciare ciò che saremo.
L’addio è quel momento in cui raccogli tutto ciò che hai vissuto, lo rimpicciolisci nel palmo della mano e lo lasci andare con un saluto.
Non importa se la fase a cui dici addio è stata bella o brutta. Quanti di noi hanno avuto un’adolescenza difficile? Non importa nemmeno se la nuova fase sarà migliore. Quanti rinuncerebbero alla vecchiaia o alla malattia? Certi cambiamenti sono inevitabili, segni del tempo che scorre. E il nostro tempo non va solo accettato, ma compreso e fatto proprio.
Certo, è possibile recidere di netto con il passato. Cancellare tutto con un colpo di spugna e ricominciare da capo. Si può lasciare un partner e trovarne subito un altro, dimenticare il dolore, evitare di conservarne memoria. Ma in questo modo, rinunciamo alla zona sfumata dell’addio, a quel momento di transizione che ci permette di elaborare e crescere.
Quante volte vi siete ritrovati a fare gli stessi errori, a rivivere le stesse situazioni, nonostante pensavate di aver cambiato direzione?
In questi momenti, bisogna fare l’esatto contrario di ciò che l’istinto ci suggerisce. Bisogna sostare, non agire. L’addio è un momento che possiamo dilatare quanto vogliamo, quanto ne abbiamo bisogno. Fermarsi dentro quell’angoscia, sedersi di fronte alla propria noia, finché quell’angoscia non prende una forma e la noia non ci spinge a muoverci.
Fermarsi in quell’istante in cui un attimo vale un altro senza chiederci come mai” scriveva F. De André, nella sua Verranno a chiederci del nostro amore
Ma come fare, vi chiederete, a non agire quando tutto dentro di voi spinge per esplodere? È complicato, più di ogni altra cosa. Agire d’impulso significherebbe tagliare di netto con il passato, saltare il momento prezioso del dire addio.
O resterai più semplicemente dove un attimo vale un altro
Senza chiederti come maiContinuerai a farti scegliere
O finalmente sceglierai
👉 Hai mai vissuto un addio che ha segnato un prima e un dopo nella tua vita? Condividi la tua esperienza nei commenti!
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