Il testo esplora il rapporto tra emozioni, linguaggio e comportamento umano. Le emozioni sono descritte come motori che guidano le azioni, influenzando la percezione e le decisioni. Il filosofo Wittgenstein è citato per analizzare come le emozioni, pur essendo esperienze interne e private, vengano comunicate attraverso il linguaggio e il comportamento esterno. Si sottolinea che il linguaggio è essenziale per manifestare e condividere le emozioni, e che il riconoscimento di queste esperienze nell’altro è possibile solo attraverso l’empatia e la comprensione intersoggettiva.
Emozioni come principi d’azione
Mentre inseguivo il sole, ancora tremante, non mi accorgevo che l’ombra che cercavo di sfuggire era la mia stessa, un riflesso dei raggi che tanto bramavo. Come potevo pretendere di separarmi da lei, se non era l’ombra che temevo, ma il fatto di non riconoscermi in essa?
L’angoscia è l’altro lato della felicità, come l’ombra prodotta dal sole. Le emozioni non possono essere vissute una per volta, ma camminano insieme. Non è la qualità dell’emozione che sconvolge l’animo umano, ma la sua intensità. L’uomo trova la sua realizzazione nella ricerca della felicità, in quello stato in cui l’obiettivo è posto, ma non ancora raggiunto. Non è l’appagamento del desiderio (felicità) la condizione auspicabile per lui, ma la tensione del desiderare, la progettualità che ne deriva, persino il trattenere il desiderio in vista di uno scopo più alto.
Tutte queste condizioni sono, al tempo stesso, sopportabili e auspicabili per l’uomo. Ma che succede una volta che il suo sogno è realizzato? Deve subito fissarsi un’altra meta. Uno stato in cui tutti i bisogni fossero soddisfatti sarebbe uno stato di quiete assoluta, simile alla morte. La felicità è una condizione estrema per l’uomo, assolutamente insopportabile almeno quanto lo è l’angoscia.
La ricerca continua e l’irrequietezza di un desiderio mai soddisfatto fino in fondo sono condizioni naturali nell’uomo.
La relazione tra funzione emotiva e funzione cognitiva
Le emozioni sono degli “stati interni” e come tali accessibili unicamente all’individuo nell’interiorità della sua coscienza. Se ne deduce che nessuno possa sapere cosa stia provando l’altro se non lo comunica in qualche modo (anche attraverso il linguaggio non verbale). La via d’accesso all’interiorità nascosta può essere solo l’esteriorità manifesta. Il problema del rapporto tra stati interni e comunicazione è affrontato da Wittgenstein nelle sue Ricerche Filosofiche, riflettendo sul tema del dolore e delle intenzioni.
Va precisato che Wittgenstein intende il “provare dolore” come sensazione fisica, che può essere osservata anche in stato di incoscienza attraverso parametri vitali, senza necessariamente essere accompagnata dall’emozione ad essa associata. Parliamo, in questo caso, non di ricordi rimossi, ma di esperienze mai arrivate allo stato di coscienza.
La teoria wittgensteiniana degli “stati interni”
Nel suo Tractatus Logico-Philosophicus, Wittgenstein si rese conto che un linguaggio formale lasciava fuori un regno ben più ampio e fondamentale per l’esistenza umana. Il problema estetico ed etico, il mistico, erano fuori dallo spazio logico del discorso formale, creando una perdita di significato riguardo al senso dell’esistenza umana. In Ricerche Filosofiche, Wittgenstein avvia la sua “svolta” verso l’analisi del linguaggio ordinario, osservando il funzionamento del linguaggio senza anticipare alcuna struttura formale.
In questo spazio, Wittgenstein si occupa anche del “dolore” come stato interno non accessibile agli altri. Il problema principale riguarda il rapporto tra emozioni (o intenzioni interne) e parole (manifestazioni esterne). L’indagine in oggetto esplora la relazione tra l’interiorità dell’individuo e lo spazio pubblico della relazione intersoggettiva (linguaggio ordinario). Emergerà che comprendiamo gli stati d’animo degli altri solo perché li abbiamo provati noi stessi.
Le emozioni sono private
Per Wittgenstein, il linguaggio non accompagna un’emozione che proverei comunque se non la rendessi pubblica. L’emozione stessa è piuttosto originata nel linguaggio ordinario, che è pubblico per definizione. La teoria del linguaggio afferma che non esiste un linguaggio privato. Questo linguaggio sarebbe sempre derivato da un linguaggio pubblico o sarebbe traducibile in altri linguaggi. Ogni stato interno è sempre accompagnato da una manifestazione esterna:
“Si collegano certe parole con l’espressione originaria, naturale, della sensazione, e si sostituiscono ad essa. Un bambino si è fatto male e grida; gli adulti gli parlano e gli insegnano esclamazioni e, più tardi, proposizioni. Insegnano al bambino un nuovo comportamento del dolore.”
La prima volta che proverò dolore, probabilmente urlerò o piangerò. Da quel momento, subentrerà l’educazione, che modulerà il comportamento che seguirà alla sensazione del dolore. Non esiste un momento separato tra vivere un’emozione e esternarla. Le emozioni vengono sempre espresse, almeno a livello preconscio. Questa posizione è interessante perché sembra confermare il presupposto della teoria psicoanalitica: le pulsioni “rimosse” o inibite tornano alla coscienza come sintomi manifesti.
Le emozioni sono come l’acqua di un torrente, talvolta in piena, altre volte ridotte a rigagnolo. Il loro movimento naturale è scorrere, e non possono essere trattenute. Se sbarrata la via primaria, troveranno un percorso alternativo. Il compito non è fermarle, ma preparare il terreno affinché seguano un cammino già tracciato.
Il linguaggio ordinario: lo spazio dell’intersoggettività condivisibile
Dall’impostazione wittgensteiniana nascono dei paradossi che lo stesso Wittgenstein evidenziò. Se trovassimo una persona capace di imitare i comportamenti legati al provare dolore, non sarei in grado di distinguere se lo sta provando veramente o no. Se riuscissi a costruire una macchina capace di rispondere in modo coerente agli stimoli esterni, non potrei distinguere quella macchina da una coscienza, ovvero dall’insieme degli stati interni che essa manifesta (tesi di Turing).
Se esistesse una persona capace di sopportare il dolore senza manifestarlo esternamente, o manifestarlo in modo non immediatamente chiaro (somatizzazione), non saprei mai se quel dolore è stato provato o no. Le emozioni, nemmeno quelle più primitive, non esistono indipendentemente dallo spazio pubblico interiorizzato attraverso il linguaggio.
L’impostazione wittgensteiniana nelle teorie sulla psiche
I presupposti principali derivanti dalla posizione wittgensteiniana sono utili al nostro ragionamento sulle emozioni:
- Non è tanto importante modificare lo stato interno (come il dolore), ma la sua manifestazione esterna. L’efficacia di un intervento si riscontra sempre nei comportamenti legati alla sensazione, come risposte agli stimoli. L’educazione alla risposta corretta sostituisce l’analisi dell’interiorità nascosta, che non è tanto inaccessibile quanto inesistente come tale, essendo sempre collegata all’esteriorità del comportamento linguistico.
- Conosco lo stato interno dell’altro non perché vedo il suo, ma perché provo il mio (controtransfert), che mi permette di comprendere lo stato emotivo dell’altro.
- La caratteristica specifica dell’esistenza umana è proprio l’einfühlen, ovvero il riconoscere che ho a che fare con un altro ente capace di intenzionalità, proprio come me.
Sentiamo il dolore sempre con le parole (linguaggio ordinario). Se non esistessero le parole per definirlo, non esisterebbero nemmeno le emozioni che dovrebbero comunicare. I processi evolutivi nel bambino sono accompagnati dai progressi nelle funzioni linguistiche (indicare, rappresentare, riconoscersi allo specchio, mentire, ecc.).
Pensiero, sentimento e comportamento
Se con “personalità” si intende la modalità di struttura di 1) pensiero, 2) sentimento e 3) comportamento che caratterizza il tipo di adattamento e stile di vita di un soggetto (OMS), delle tre, l’unica cosa visibile esternamente è il comportamento. Tuttavia, nessuno dei tre può esistere senza la dimensione pubblica (intersoggettiva) della parola. I pensieri, ad esempio, sono impossibili da formulare senza un linguaggio.
Un disaccordo tra pensieri, sentimenti e comportamenti, che sono sempre interconnessi nello spazio umano del linguaggio ordinario, potrebbe portare a uno squilibrio che di per sé risulta patologico. La disarticolazione di queste tre istanze appare come il problema stesso.
Prima di interrogarci su cosa sia la malattia mentale, sarebbe opportuno chiederci dove essa si collochi. Come nel caso delle emozioni, questa si trova, dal mio punto di vista, sempre nello spazio intersoggettivo della parola. L’interiorità
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