Precipizi dell’anima: L’Urlo Silente
E mentre, giunto sul precipizio, urlava la sua disperazione, sentivo il suo spirito avvilupparsi su sé stesso. Come un cristallo di neve, preciso nella sua geometria perfetta, cominciò a ruzzolare, e quel cadere si fece presto valanga. Parole di chissà quali ingiustizie vestite di dettagli irrilevanti riempivano il vuoto, ma era evidente: qualcosa, dentro di lui, andava in pezzi. E ogni frammento si aggrappava disperatamente all’idea di restare integro.
Non era una rabbia che spaventava o irritava. Non una sola volta mi sentii in pericolo. Era invece un’ondata di tenerezza che mi travolgeva. Era il pianto di un bambino, un lamento indistinto di emozioni naufragate in un mare senza sponde.
Cosa potevo fare per lui in quel momento?
Nulla, forse. Perché alcune anime sono fatte delle terre di mezzo, sospese tra il mare e la terra, come anfibi incapaci di appartenere a un solo mondo. Lui era una di quelle anime. Dentro di lui, il tempo si era fermato; non c’erano confini tra passato e presente, solo un eterno adesso che si ripeteva senza tregua. Io, invece, portavo la mia condanna: la percezione del tempo. Sapevo che tutto ha un inizio e una fine.
E così, stando lì con lui, vidi l’invisibile. Sentii l’inesprimibile. La differenza tra me e lui mi fu finalmente chiara.
La connessione delle anime
La connessione fu immediata, profonda, al punto che mi era difficile distinguere me da lui. Come un naufrago che si aggrappa disperatamente a ciò che galleggia, lui si avvinghiava a me per non cadere nel precipizio. Ma io? Io sarei stato capace di reggere per entrambi?
Mentre urlava, io restavo in silenzio.
Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Sono, a volte, l’unico strumento per dire ciò che non può essere detto. Lo guardai come si guarda qualcuno durante un salasso: dovevo lasciare che la sostanza morta defluisse, ma solo fino al limite. Oltre quel punto, tutto sarebbe imploso, portando via ogni cosa.
Non era lo sfogo di chi sa ricomporsi. Non c’era nulla da ricomporre in lui: era una figura fatta di spirito, non di materia. Non si spezzava; si espandeva, come una nube gassosa che rischiava di esplodere se spinta oltre il confine.
Quel giorno fui fortunato. Si lasciò interrompere.
Mi permise di entrare. E si placò, come rassicurato da un’improvvisa certezza. Il nuvolone che minacciava il diluvio si dissolse nel nulla. Era sparito. Un altro giorno qualunque nella sua ordinaria follia.
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