Il concetto di “Borderline”: Evoluzione Storica e Riflessioni Filosofiche
Il termine “borderline” emerge relativamente tardi nel contesto psichiatrico. Originariamente, designava uno stato di confine tra sanità mentale e follia (Hughes, 1984), descrivendo individui percepiti come troppo “sani” per essere considerati pazzi, ma troppo “instabili” per essere ritenuti pienamente equilibrati. Questo concetto delineava un territorio psicologico intermedio tra nevrosi e psicosi, definito da Rosse (1980) come una zona grigia del funzionamento mentale. Già nel 1938, Alfred Stein osservò che pazienti con tratti borderline reagivano negativamente alle terapie analitiche tradizionali, peggiorando anziché migliorare. Nel tempo, le interpretazioni di questa condizione si sono modellate in base a nuove teorie e approcci clinici.
Dal Modello Psicodinamico al DSM: Un Cambio di Prospettiva
Con il declino dell’egemonia psicodinamica nel Novecento, il concetto di livello di funzionamento (nevrotico, borderline, psicotico) scomparve dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM). Nella IV edizione (1994), fu sostituito dalla categoria generica di disturbo di personalità, riducendo la complessità della precedente distinzione. Il “borderline”, da dimensione transizionale, divenne una diagnosi specifica: il disturbo di personalità borderline (BPD), inserito tra i disturbi di Asse II. Questo passaggio generò non poca confusione, poiché il termine, un tempo riferito a un funzionamento globale, assunse una connotazione nosografica autonoma, caratterizzata da criteri clinici precisi (es. impulsività, instabilità relazionale).
Borderline: Tra Clinica e Filosofia dell’Anima
Il seguito di questo testo si configura come una riflessione aperta, più che come un’analisi sistematica. Scelta voluta, per ricordare che la psicologia – dal greco psyché (anima) e logos (discorso) – affonda le radici nella filosofia. Senza un dialogo con quest’ultima, rischia di ridursi a mera tecnica, perdendo di vista il suo nucleo originario: l’indagine sull’umano.
Riportando alle parole il loro significato etimologico, emergono paralleli suggestivi:
- Borderline (linea di confine) evoca un’esistenza sospesa tra ordine e caos.
- Psichiatria, composta da psyché e iatros (medico), diventa “cura dell’anima”.
- Patologia, da pathos (passione) e logos, si trasforma in “discorso sul dolore”.
In questa luce, la filosofia può essere intesa come medicina doloris, strumento per affrontare la fragilità insita nella condizione umana. Sant’Agostino, nel De Civitate Dei (XIV, 9), scrive:
«La nostra mortalità, segnata dal dolore e dalla caducità della carne, non è vana: esorta l’intelletto a cercare l’eterno, oltre il contingente».
Il BPD, con la sua tempesta emotiva e il senso cronico di vuoto, incarna forse questa tensione: un’anima in lotta tra il desiderio di stabilità e il richiamo dell’abisso. La psichiatria, allora, non può limitarsi a classificare sintomi; deve interrogarsi sul significato profondo di quel confine che dà nome al disturbo, traducendo il dolore in domande universali.
Postilla: Oltre la ribellione, oltre la paura
Il dipinto L’Angelo Caduto di Alexandre Cabanel, incarna una tensione drammatica tra bellezza sublime e disperazione. Lucifero, colto nell’attimo stesso della caduta, non è ancora il demone delle tenebre, ma non è più l’arcangelo della luce. È un essere sospeso, un borderline cosmico: la sua perfezione anatomica—muscoli scolpiti, capelli fluenti che accennano corna appena abbozzate—dialoga con l’ombra del rancore che gli incupisce lo sguardo.
La bellezza nella caduta: un paradosso visivo
Cabanel gioca sul contrasto tra l’estetica classica e la turbolenza interiore. La posa è teatrale, ma non grottesca; la torsione del corpo ricorda un eroe greco sconfitto, non un mostro. Le corna, quasi nascoste tra i riccioli, sono un dettaglio sottile: non simbolo di malvagità, ma di una trasformazione incompiuta. È qui che risiede l’umanità del personaggio: la sua ribellione non nasce da crudeltà, ma da una fame di giustizia tradita. Quel che lo condanna non è il male, ma l’incapacità di accettare l’ingiustizia senza replicarla.
Il confine tra hybris e redenzione
Nell’istante ritratto, tutto sembra ancora reversibile. Il cielo non è del tutto oscuro; gli angeli che lo scherniscono, lontani e impersonali, appaiono più come spettatori passivi che come giudici. Lucifero, però, è già irrimediabilmente solo. La sua tragedia non è la caduta in sé, ma la consapevolezza di aver oltrepassato un limite per coerenza con se stesso. Nutrito dall’orgoglio divino, diventa vittima della stessa logica che lo ha plasmato: per affermare la sua giustizia, deve negare quella altrui.
Borderline come metafora esistenziale
Lucifero in questa posa è l’archetipo di chi vive sul confine: troppo lucido per adagiarsi nell’obbedienza, troppo idealista per accettare il compromesso. La sua rabbia “brucia” perché è insieme fuoco creativo e distruttivo, energia che potrebbe redimere o annientare. In questa ambiguità, Cabanel anticipa la psicologia del borderline moderno: un’anima divisa tra il desiderio di riconoscimento e la paura di essere annullata, tra l’impulso a ribellarsi e il bisogno disperato di appartenere.
Gli angeli sullo sfondo: il coro del conformismo
Gli angeli dorati che osservano dall’alto completano l’allegoria. Rappresentano l’ordine che condanna ogni devianza, ma anche la vigliaccheria di chi, pur essendo “inferiore”, non osa sfidare i limiti. La loro perfezione è statica; quella di Lucifero, dinamica e tragica. È proprio questa differenza a renderlo, paradossalmente, più umano: nella sua caduta, si specchia chiunque abbia lottato per un ideale, scoprendo che la giustizia assoluta non esiste se non come altra faccia della colpa.
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